Le Isole Eolie

isole eolieLe Isole Eolie (Ìsuli Eoli in siciliano), dette anche Isole Lipari, sono un arcipelago dell'Italia appartenente all'arco Eoliano, in Sicilia.L'arcipelago, di origine vulcanica, è situato nel Mar Tirreno, a nord della costa siciliana. Comprendono due vulcani attivi, Stromboli e Vulcano, oltre a vari fenomeni di vulcanismo econdario.Amministrativamente compreso nella provincia di Messina, l'arcipelago è una destinazione turistica sempre più popolare: le isole, infatti, attraggono fino a 200.000 visitatori annuali

Geografia

Le Isole Eolie formano un arcipelago, costituito da sette isole vere e proprie, alle quali si aggiungono isolotti e scogli affioranti dal mare.
Le 7 isole sono disposte a forma di Y coricata, con l'asta che punta verso Ovest; sono ubicate al largo della Sicilia settentrionale, di fronte alla costa tirrenica messinese. Sono perciò visibili da gran parte della costiera tirrenica della Sicilia, quando la visibilità è ottima e non è presente foschia. Le sette isole sono:

  • Lipari (37,6 km² - circa 10.700 abitanti). Nome in greco anticoLipàra (Λιπάρα ossia grassa, fruttifera) o Meligunìs (Μελιγουνίς, nome che sembra far riferimento al miele, in greco antico méliμέλι).
  • Salina (26,8 km² - circa 2.300 abitanti), con lo Scoglio Faraglione. Nome in greco anticoDidỳmē (Διδύμη ossia gemella).
  • Vulcano, all'estremità Sud dell'arcipelago (21 km² - circa 300 abitanti). Nome in greco anticoHierà (Ἱερά cioè sacra).
  • Stromboli, con l'isolotto di Strombolicchio, all'estremità nord-est dell'arcipelago (12,6 km² - circa 400 abitanti). Nome in greco anticoStronghỳlē (Στρογγύλη ossia rotonda).
  • Filicudi (9,7 km² - circa 250 abitanti). Nome in greco anticoPhoinicṑdēs (Φοινικώδης ossia "delle palme") o Phoinicùssa (Φοινικοῦσσα); entrambi i nomi derivanti da fόinixφοῖνιξ che significa palma, ma ancheporpora.
  • Alicudi, all'estremità ovest dell'arcipelago (5,2 km² - circa 100 abitanti stanziali). Nome greco anticoEricùssa (Ἐρικοῦσσα, forse con riferimento alla pianta dell'erica, in greco antico erìkē o eréikēἐρίκη o ἐρείκη).
  • Panarea (3,4 km² - circa 240 abitanti), con gli isolotti di BasiluzzoDattilo e Lisca Bianca. Nomi in greco anticoEuṑnymos (Eὐώνυμος ossia "di buon nome, di buona fama"); e gli isolotti: Basilùs (Βασιλούς ossia regale) e Dàktylos (Δάκτυλος che significa dito).[2]

Le isole Eolie, tutte di origine vulcanica, sono situate nel Mar Tirreno meridionale di fronte alla costa nord della Sicilia all'altezza di Capo Milazzo da cui distano meno di 12 miglia nautiche.

La loro posizione geografica è compresa tra:

  • 38° 48' 44" N a nord (Isola di Stromboli - Sciara del fuoco)
  • 15° 14' 35" E a est (Isola di Stromboli - località San Vincenzo)
  • 38° 21' 59" N a sud (Isola di Vulcano - Faro in località Gelso)
  • 14° 20' 21" E a ovest (Isola di Alicudi - costa ovest)
  • Storia

    La presenza umana nell'arcipelago risulta sin da epoca molto antica. Le genti preistoriche vennero infatti sicuramente attratte dalla presenza di grandi quantità di ossidiana, sostanza vetrosa di origine vulcanica grazie alla quale le Eolie furono al centro di fiorenti rotte commerciali. I primi insediamenti si ebbero già alcuni secoli prima del 4000 a.C., nell'età neolitica. L'ossidiana, che a quei tempi era un materiale ricercatissimo grazie al fatto di essere il più tagliente di cui l'uomo dell'epoca disponeva, generò traffici commerciali così intensi da conferire grande prosperità alle isole. Da Lipari era esportata in gran quantità verso la Sicilia, l'Italia meridionale, la Liguria, la Provenza e la Dalmazia. A Lipari nacque così uno degli insediamenti più popolosi del Mediterraneo, mentre anche le altre sei isole cominciavano ad essere popolate. Tra il XVI e il XIV secolo a.C. le Eolie divennero importanti perché poste sulla rotta commerciale dei metalli, in particolare lo stagno che giungeva via mare dai lontani empori della Britannia e transitava per lo stretto di Messina verso oriente. Mentre in Sicilia si afferma la Cultura di Castelluccio, a Capo Graziano, nell'isola di Filicudi, e anche a Lipari, si diffonde la cosiddetta Cultura Eoliana, caratterizzata dal commercio più che dall'agricoltura, con le sue capanne circolari con pareti di pietre a secco, quasi a strapiombo sul mare, e una propria ceramica. Le isole furono colonizzate dai Greci, intorno al 580 a.C., che chiamarono le isole EolieΑιόλιαι, poiché ritenevano che fossero la dimora del dio dei venti, Eolo, un mito questo destinato ad affermarne la "grecità".

    Nel 260 furono teatro della battaglia di Lipari tra Roma e Cartagine. In epoca romana divennero centri di commercio dello zolfo, dell'allume e del sale.

    Nell'836 - 837, l'arcipelago è assaltato dall'armata di al-Fadl ibn Yaʿqūb (poi sostituito a settembre dal nuovo governatore aghlabide Abū l-Aghlab Ibrāhīm b. ʿAbd Allāh b. al-Aghlab, cugino dell'emiro Ziyadat Allah I). La flotta musulmana condotta da al-Fadl ibn Yaʿqūb devasta le Isole Eolie ed espugna diverse fortezze sulla costa settentrionale della Sicilia, tra cui la vicina Tyndaris.

    Nel 1544, quando la Spagna dichiara guerra alla Francia, il re francese Francesco I chiede aiuto al sultano ottomano Solimano il Magnifico. Questi manda una flotta comandata da Khayr al-Din Barbarossa che attacca le isole Eolie, uccidendo e deportando molti dei suoi abitanti. Secondo il suo disegno le Eolie avrebbero dovuto essere l'avamposto dal quale attaccare Napoli.

    Nel corso dei secoli successivi l'arcipelago viene nuovamente popolato da comunità spagnole, siciliane e del resto d'Italia. In epoca borbonica l'isola di Vulcano viene usata come colonia penale per l'estrazione coatta di allume e zolfo.

    Toponimo

    Le isole prendono nome dal dio Eolo (ÀiolosΑἴολος in greco antico), re dei venti. Secondo la mitologia greca, Eolo riparò su queste isole e diede loro nome, grazie alla sua fama di domatore dei venti. Viveva a Lipari e riusciva a prevedere le condizioni del tempo osservando la forma delle nubi sbuffate da un vulcano attivo, probabilmente lo Stromboli. Grazie a questa abilità, determinante per gli isolani, che erano in gran partepescatori e necessitavano di conoscere la probabile evoluzione degli eventi meteorologici, Eolo si guadagnò grande popolarità nell'arcipelago; secondo una teoria, fu da ciò che un semplice principe greco, abile nel prevedere il tempo dalle nubi, alimentò il mito del dio Eolo, in grado invece di comandare i venti.

    Il nome di isole Lipari viene invece, secondo il mito, dal re Liparo, mitico colonizzatore dell'isola, contemporaneo di Eolo. Secondo Plinio, dai greci queste isole venivano chiamate Efestiadi (HephaistiàdēsἩφαιστιάδηςossia vulcanoidi) e conseguentemente, dai romani, assieme a Aeoliae e LipariVolcaniae (Plin. III, 92).

    Geologia

    Le isole Eolie costituiscono un sistema vulcanico determinato dalla subduzione della litosfera oceanica sotto quella continentale, determinandone la fusione con liberazione di magma che, giunto in superficie, forma unarco insulare, l'arco Eoliano, lungo 200 km e composto, oltre che dalle sette isole vulcaniche emerse, dai monti sottomarini (in inglese "seamount") AlcioneLametiniPalinuroGlabroMarsiliSisifoEoloEnarete)

  • Fonte: wikipedia

La 'nduja di Spilinga

nduja pLa 'nduja è un salume di consistenza morbida e dal gusto particolarmente piccante.

Nome

Il nome 'nduja o più semplicemente duja, che trae origine dal termine latino "inducere", cioè introdurre, è altresì collegato ad altri due particolari tipi di insaccato, sempre costituiti da carne e spezie, prodotti di salumeriadai piemontesi chiamati "salam dla doja" mentre dai francesi "andouille". Questi due prodotti, come quello calabrese, nonostante la comune matrice latina della denominazione, hanno caratteristiche assolutamente diverse.[1]

Caratteristiche

La 'nduja è tipica del paese di Spilinga, località in provincia di Vibo Valentia, in Calabria. Imitazioni del prodotto, di qualità tuttavia non paragonabile, a causa della mancanza del particolare microclima proprio del comune d'origine situato alle pendici del Poro,[senza fonte] sono ormai reperibili in tutta la regione, a tal punto da fare della 'nduja un alimento tipicamente associato a tutta la Calabria. Preparata con le parti grasse del maiale, con l'aggiunta del peperoncino piccante calabrese, è insaccata nel budello cieco (orba), per poi essere affumicata.

Storicamente la 'nduja è un piatto povero, nato per utilizzare gli scarti delle carni del maiale: milza, stomaco, intestino, polmoni, esofago, cuore, trachea, parti molli del retrobocca e faringe, porzioni carnee della testa, muscoli pellicciai, linfonodi, grasso di varie regioni, ecc. Tuttavia, già a pochi chilometri da Spilinga, così come nelle aree in cui il prodotto è arrivato più di recente (ad esempio nel cosentino o crotonese) vengono aggiunte, a questi ingredienti, le cotiche bollite tagliate a pezzettini molto piccoli[senza fonte]La geografia tradizionale della 'nduja è stata verificata da Corrado Barberis e Saverio Di Bella.[senza fonte] Il successo commerciale è all'origine delle modificazioni attuali nelle diverse composizioni.

Consumo

Si consuma spalmandola su fette di pane abbrustolito, meglio se ancora calde, o utilizzata come soffritto per la base di un ragù o di un sugo di pomodoro, con aglio; può essere usata per guarnire la pizza, prima degli altri condimenti se cruda, oppure appena sfornata; si può consumare su fettine di formaggi semi-stagionati o può entrare nella composizione di frittate.

 

Serra San Bruno

serra

« Della sua amenità, del suo clima mite e sano, della pianura vasta e piacevole che si estende per lungo tratto tra i monti, con le sue verdeggianti praterie e i suoi floridi pascoli, che cosa potrei dirti in maniera adeguata? Chi descriverà in modo consono l'aspetto delle colline che dolcemente si vanno innalzando da tutte le parti, il recesso delle ombrose valli, con la piacevole ricchezza di fiumi, di ruscelli e di sorgenti? Né mancano orti irrigati, né alberi da frutto svariati e fertili. »

Storia

Le prime abitazioni di quello che sarebbe divenuto il paese furono costruite per ospitare gli operai che lavoravano per i monaci della certosa di Santo Stefano e per l'eremo di Santa Maria per volere del fondatore, San Bruno, il quale aveva ottenuto dal conte normanno Ruggero d'Altavilla il terreno per le sue fondazioni monastiche. La presenza della Certosa ha enormemente influenzato lo sviluppo architettonico del paese, infatti era ben nota la presenza di artigiani, artisti del legno, fabbri e decoratori.

Il terremoto del 1783 distrusse la cittadina e la Certosa; il centro storico, a causa di questo avvenimento, visto le condizioni in cui versava, venne denominato "Terra Vecchia", successivamente venne costruito un altro quartiere, chiamato spinetto, per l'enorme presenza di spine nel luogo dove iniziò l'edificazione. La ricostruzione è stata possibile in quanto la zona era ricca di risorse come legno, ferro e granito, che i mastri d'arte dell'epoca sfruttarono anche per creare opere d'arte per decorare le chiese ed il paese. In origine il patrono della Città era San Biagio (nella Chiesa Matrice sono conservate alcune sue reliquie ) poi solo successivamente il titolo di patrono è stato attribuito a San Bruno.

Luoghi di interesse

Chiese

Chiesa matrice, dedicata al protettore San Biagio.Sono presenti sul territorio nove chiese, che testimoniano l'attività delle confraternite locali.

  • Chiesa di Maria Santissima dei Sette Dolori o dell'Addolorata
  • Chiese dedicate a Maria Santissima Assunta, una nel quartiere Terravecchia e una nel quartiere Spinetto. La storia delle due chiese è caratterizzata da una lunga ed aspra rivalità tra le due rispettive confraternite.
  • Chiesa di S
    an Gerolamo
  • Chiesa di San Rocco
  • Cosiddetta chiesuledha ("piccola chiesa")
  • Santuario Regionale di Santa Maria nel Bosco, nel territorio compreso tra la Certosa e l'eremo.

Musei

Museo Parrocchiale "San Biagio"
Museo della CertosaMuseo dell'Arciconfraternita Maria SS. Assunta in Cielo (Spinetto)

Luoghi di interesse naturalistico

La vera attrattiva di Serra, oltre ai luoghi di San Bruno, sono le bellezze naturali. Il comune è caratterizzato dalla presenza di numerose specie vegetali tra cui le più diffuse sono: ilfaggio, il castagno e l'abete bianco, con esemplari di piante gigantesche, secolari, che formano un manto forestale molto fitto.

Tra le abetine più belle abbiamo quelle del grande Bosco di Archiforo, e quelle del Bosco di Santa Maria.

Il territorio boschivo, facente parte del Parco Naturale Regionale delle Serre è attraversato dal "Sentiero Frassati". Altro luogo di interesse naturalistico è anche la località Rosarella 

Il Tartufo di Pizzo

tartufo di pizzo

Il tartufo di Pizzo è un prodotto oramai tipico della pasticceria calabrese. Si tratta di un gelato alla nocciola che viene modellato, rigorosamente nel palmo della mano, a forma di semisfera con un cuore di cioccolatofondente fuso e ricoperto da un spolverata di cacao amaro in polvere e zucchero. È stato inventato negli anni '50 dello scorso secolo quasi certamente ispirandosi all'omonimo cioccolatino della tradizione torinesecommercializzato dalla Talmone, prodotto con gli stessi ingredienti e all'epoca popolarissimo.

A questo dolce tipico sono ispirati vari tartufi industriali che non hanno niente a che fare con quello artigianale. La produzione è tradizionalmente artigianale.

Storia e origini

Nel lontano 1940, il maestro pasticcere messinese Dante Veronelli rileva dal napitino Jannarelli nel centro di Pizzo il Gran Bar Excelsior, che in seguito cambierà il nome in Gelateria Dante proprio in onore al suo primo proprietario, per proseguire l'attività imprenditoriale si avvale della collaborazione di un giovane pasticcere di belle speranze anche lui di Messina, Giuseppe De Maria, al secolo "Don Pippo". I due grazie alla genialità produttiva del secondo e a quella imprenditoriale del primo riescono in poco tempo ad attirare l'attenzione per la grande qualità e il gusto dei loro prodotti. Il genio dei due artigiani si esprime all’interno del laboratorio di produzione, al termine della seconda guerra mondiale. A seguito della morte del Veronelli, il De Maria rimane l’unico proprietario dell’esercizio. Il tartufo, nella sua forma attuale è nato a Pizzo (nel 1952 circa) per puro caso, artefice di questa innovazione proprio "Don Pippo" il quale in occasione di un matrimonio patrizio, avendo esaurito gli stampi e le forme per confezionare il gelato sfuso per rifornire i numerosi invitati del matrimonio, sovrappose nell'incavo della mano una porzione di gelato alla nocciola ad uno strato di gelato al cioccolato, inserì quindi all'interno del cioccolato fuso ed avvolse il tutto in un foglio di carta alimentare da zucchero dandole la forma tipica del tartufo, il tutto fu messo a raffreddare. Il successo conseguito gli valse l’immediata notorietà. La ricetta originale viene ancora custodita gelosamente dai nipoti del maestro "De Maria". Nel 1950, Giorgio Di Iorgi, il quale aveva iniziato la sua carriera lavorativa dentro la gelateria con il ruolo di cameriere, comincia ad apprendere l’arte della produzione del gelato; dieci anni dopo, in seguito al pensionamento del maestro De Maria, ne rileva l’attività.

Da questo momento in poi l’attività viene gestita a conduzione familiare, tramandandosi da padre in figlio la ricetta segreta per la realizzazione dei prodotti di gelateria.

Fonte: Wikipedia